Domenica 19 novembre 2023 – 33/a

Il Vangelo ci presenta un’altra parabola sul giudizio finale. Benché, in questo caso, non si faccia menzione di una porta che si chiude, come nella parabola precedente delle dieci vergini, si parla comunque di entrare nella gioia del proprio signore oppure di essere gettati nelle tenebre esteriori; di stare dentro o fuori; di essere luce oppure tenebra. Insomma, la parabola ci aiuta a riflettere sul fatto che vi sono fondamentalmente solo due direzioni nel cammino della vita. Fidarsi di Dio e cercare di piacergli in ogni cosa consapevoli che uno che mi chiama a partecipare alla sua stessa gioia non può che volere il mio bene. Al presente questa gioia non è necessariamente evidente, non perché non sia vera, ma perché supera ogni umana aspettativa e capacità. Alla fine, infatti, non si tratterà di far entrare in noi la gioia di Dio, ma di entrare noi nella sua stessa gioia.

Se invece scegliamo di ignorare questa possibilità e questa chiamata inevitabilmente ci incammineremo nella direzione opposta, di una sempre maggiore tristezza e rabbia, descritte nella parabola dalle immagini del pianto e dello stridore dei denti. Non si tratta, dunque, di aspettare un giudizio finale di Dio ma di vivere fin da ora giudicando noi stessi che cosa illumina il cuore e che cosa invece lo oscura. È vero, in tal senso, che non sappiamo quando verrà il signore e quindi quando si compirà la nostra storia.  Ma è anche vero, scrive S. Paolo, che sappiamo bene cosa significa valorizzare i tempi e le opportunità del presente. Tutti, infatti, possono imparare a riconoscere la luce perché ciò che illumina coincide con ciò che ha e che dona più vita perché, ci ricorda San Paolo, la luce fa nascere; essa ci fa diventare “figli” suoi, figli della luce e del giorno. Creature nuove rese capaci di vivere in maniera nuova.

Per fare questa esperienza, tuttavia, occorre rischiare di andare oltre tutto ciò che fa coincidere la felicità con ciò che offre “pace e sicurezza” solo nell’immediato. Tutto ciò che mi offre pace e sicurezza solo per il presente, infatti, si può perdere ad ogni istante, anche solo per un mal di denti, perché legato alle sole circostanze esteriori. Se, invece, diamo fiducia al fatto che esiste una gioia più grande che viene da Dio, che supera le piccole soddisfazioni umane e che, una volta conosciuta non potrà più essere rubata o tolta, allora ci disponiamo ad accettare la fatica di ricominciare ogni giorno a distaccarti da tutto ciò che, anche se fa comodo, in realtà trattiene nella tenebra, e quindi nella tristezza e nella rabbia. Per comprendere più concretamente in cosa consiste questo discernimento quotidiano sulla luce e sulla tenebra può aiutare il confronto tra due situazioni opposte.

Da un lato, nel libro della Sapienza si descrive la vita quotidiana di una casalinga. Una vita che pur essendo tra le più semplici e comuni diventa luminosa per il fatto che è vissuta con l’attenzione ad essere “fedeli nelle piccole cose”. La sposa non fa cose eccezionali ma agisce con responsabilità e con bontà verso il suo sposo, la sua casa, e verso i poveri. Questo modo di agire equivale a quello dei primi due servi della parabola evangelica, i quali alla fine sono lodati appunto come buoni e fedeli. Il loro merito non è misurato dai risultati esteriori. In fondo sia quello che ha guadagnato cinque talenti che quello che ne ha guadagnati solo due, entrambi ricevono la stessa lode e la stessa ricompensa. Si sono fidato del fatto che valeva la pena lavorare su ciò che avevano a loro disposizione. Ciascuno ha cercato semplicemente di far bene quello che poteva fare. Questo loro atteggiamento esprime in fondo accettazione e gratitudine per la loro condizione così come essa è. Non rinunciano ad impegnarsi nel presente per sognare cose migliori da fare nel futuro, opportunità eccezionali, condizioni differenti.

Proprio questo sembra invece essere l’errore fondamentale del servo che “seppellisce” il suo talento.  Il padrone gli fa notare che avrebbe potuto affidare il suo talento ai banchieri. Indipendentemente da chi possano essere questi banchieri la negligenza del servo è segnalata dal non aver fatto quello che poteva fare e che in fondo chiunque avrebbe potuto fare facilmente, in circostanze analoghe. Seppellire il talento, in fondo, significa illudersi che la circostanza che stai vivendo, facile o difficile, felice o dolorosa, non è un tempo di salvezza, un’opportunità per amare, ma un tempo inutile, un tempo in “stand-by” nell’attesa di qualcosa di meglio. Il servo si lamenta di aver avuto paura. Il padrone, in effetti, lo riprende proprio a partire dalle sue parole. Se davvero avevi paura di me perché non hai fatto nulla per evitare il mio disappunto. Il servo non aveva paura del padrone, che peraltro non si era mostrato esigente con gli altri due ma, al contrario, generoso. Egli aveva paura di non guadagnarci nulla per se stesso. Egli è mosso dal calcolo e dall’egoismo di colui che crede ci sia qualcosa che appartiene a lui e qualcosa che appartiene al suo padrone: ecco il tuo, egli dice a Colui che avrebbe voluto farlo partecipe della sua stessa gioia. La sua tenebra e quindi la sua cattiveria sono date dalla sua pretesa di bastare a se stesso e dalla cecità riguardo al fatto che Dio è buono e che tutto ciò che egli permette nella nostra vita non è finalizzato a toglierci qualcosa ma a renderci più accoglienti alla sua gioia.