Domenica 29 ottobre 2023 – XXX/ a

Paolo, parlando ai Tessalonicesi, non ricorda loro l’insegnamento dato ma il suo stile di vita: voi sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi, per il vostro bene. Quindi continua elogiandoli perché a loro volta stanno diffondendo il Vangelo in Macedonia, non con parole o proclami ma appunto con la testimonianza del loro modo di vivere: La parola di Dio riecheggia dappertutto per mezzo della vostra vita. La fede, insomma, si rivela in una vita che suscita ammirazione e che non può passare inosservata; non per delle realizzazioni particolari ma per qualcosa che l’anima dall’interno. Ma cosa riflette di così particolare questa loro vita? Il primato dell’amore. E da cosa si riconosce questo primato?

Si riconosce, continua San Paolo, dal fatto che nella loro vita non c’è più posto per la paura per cui, anche nelle tribolazioni, essi possono gioire.  Dal fatto che vivono un cammino di conversione che li porta ad allontanarsi dagli idoli, cioè da quelle cose visibili che il mondo considera essenziali per la sopravvivenza, soldi, onore, potere e che, quindi, esso tende ad anteporre a tutto, anche all’amore. Finalmente si capisce dal fatto che sperano in una felicità non meritata. Essi attendono Gesù Cristo risorto che viene con il dono della vita eterna al posto dell’ira di Dio, cioè al posto di un giudizio basato sul rigore della legge. Questa speranza li rende liberi e lieti e quindi in grado di mettere davvero al primo posto l’amore. E questo suscita ammirazione nel senso che risveglia in chi osserva un interrogativo essenziale: per cosa vale davvero la pena vivere? Se uno prende sul serio questo interrogativo, che fa da sfondo alla domanda dei farisei a Gesù, allora non può che prendere sul serio anche la risposta di Gesù circa il primato dell’amore. Certo, tutti possono amare, qualche volta, in qualche modo.

Ma non tutti mettono l’amore al primo posto. E questo ha delle conseguenze. Il primo comandamento, infatti, quello dell’amore, non è primo solo perché è il più importante. Esso è il primo perché è il comandamento senza il quale gli altri non funzionano. Perdere di vista il primato dell’amore nella vita significa rischiare di ritrovarsi a vivere una vita interiormente paraplegica, simile ad un viaggio sempre uguale in autostrada, senza una meta veramente felice, una vita spenta in cui l’amore manca e magari non ci si accorge nemmeno. È possibile, perfino, trascinare una vita religiosa formalmente ineccepibile, rispettosa di tutti gli altri comandamenti, ma spenta, se non proprio idolatrica, cioè, schiava di interessi diversi, perché distratta, superficiale o addirittura opposta al comandamento dell’amore. Insomma, uno può fare tutto per Dio e niente per amore. Ma è possibile “comandare” questo amore? Esso, nella sua pienezza, non è una possibilità umana. Esso è dono di Dio che dell’amore è la sorgente. Non a caso Gesù dice che dall’amore dipendono sia la legge che i profeti. Esso, cioè, è in ultima analisi una promessa che da compimento a tutte le profezie. Al contempo esso è anche il frutto maturo dell’osservanza della legge, cioè del desiderio sincero di cercare e trovare la volontà di Dio in tutte le cose. La legge e i profeti allora ci invitano a tenere Dio come l’orizzonte più ampio della nostra vita; quindi, per amor suo, ad amare il prossimo, cioè non colui che scelgo io ma colui che Dio mi mette vicino, colui che Dio pone concretamente sul mio cammino. E questo nella consapevolezza che così facendo non possiamo che amare anche noi stessi. L’amore, infatti, è uno sguardo positivo sull’altro e quindi è inevitabile che il modo con cui guardo gli altri si rifletta sul modo con cui guardo me stesso.

Noi facciamo normalmente il contrario. Mettiamo il nostro io al centro. Quindi cerchiamo gli altri, spesso per noi stessi. E se ne abbiamo voglia lasciamo un posticino anche per Dio. Siamo attentissimi a come siamo amati dagli altri e distratti circa il nostro modo di amare. Coltiviamo in fondo l’ideale di un uomo “che si fa da sé”, che è al centro di tutto e che quindi per rimanere “al centro” non deve amare ma prevalere. Come potrà tener conto dello straniero, o del più debole in generale, ricorda Dio nel libro dell’esodo, chi ha dimenticato di essere stato straniero a sua volta, chi cioè ha fatto della sua posizione di forza un vantaggio “acquisito”? Per aprirsi all’altro occorre rendersi conto che c’è una stortura interiore da correggere. Nessuno rischierebbe di prestare senza usura, di rispettare la vedova, di rinunciare ad esigere da un povero ciò che non può dare, se non impara a rimettere al primo posto l’amore e quindi a scegliere in maniera contraria al proprio “io”, al voler proprio, al piacer proprio e all’interesse proprio. Ma per fare questa sostituzione occorre vincere la paura di morire. Lo Spirito è dato, dunque, come pegno di un amore che muore e risorge. Solo nello Spirito troviamo il coraggio di sostituire a quell’atteggiamento naturale che ti suggerisce: vengo prima io, quello alternativo che ti suggerisce: prima viene l’amore. Tutta la legge e i profeti “pendono” da questo amore come Cristo pende dalla croce. È a partire da essa che Gesù ha fatto risplendere l’amore di Dio e ci ha dato la sicurezza nella fede che solo l’amore risorge e quindi solo l’amore è ciò per cui vale la pena vivere e morire.