14 maggio 2023 Pasqua VI/a

Filippo annuncia la resurrezione di Cristo in Samaria e il suo annuncio è accolto con fede dagli ascoltatori che ottengono la liberazione da catene interiori, significata dai demoni che fuggono, oppure da legami esteriori, significati dalle paralisi che guariscono. Accogliere l’annuncio di Cristo risorto è sempre garanzia di un cammino di libertà che tocca gli individui ma si riflette anche nel tessuto sociale così da provocare una grande gioia che coinvolge l’intera città.

Eppure, c’è ancora un passo che i nuovi credenti possono fare. Pietro e Giovanni scendono da Gerusalemme per pregare sui nuovi discepoli e donare loro lo Spirito Santo. Questo passaggio non è accompagnato da altri segni esteriori. È descritto come un dato di fatto. Chi, avendo creduto, entra in comunione con quel corpo che è la chiesa intera, rappresentata da Pietro e Giovanni, riceve lo Spirito Santo e realizza in sé la promessa fatta da Gesù agli apostoli: lo Spirito Santo che era presso di voi un giorno sarà in voi.

Si tratta cioè di sperimentare un passaggio da una religiosità anche buona, ma ancora basata su cose esteriori, ad una fede vissuta in maniera tale che il credente entra in una comunione così profonda con Dio da poter trovare la vita non più fuori di sé ma dentro di sé. L’ interiorità diventa la sorgente della vita. Quando mi alzo e mi siedo, quando entro e quando esco, tutto si svolge in comunione con lo Spirito Santo che abita in me. Il fatto che perfino i samaritani, gli indemoniati e le persone più fragili abbiano potuto vivere questo passaggio ci rassicura circa il fatto che esso è possibile a tutti. Non a caso Gesù chiama lo Spirito Santo “consolatore” perché esso libera la nostra interiorità dalla paura di essere giudicati da Dio, dagli altri, dalle circostanze della vita. Dentro il credente non può abitare un accusatore ma al contrario un consolatore. D’altra parte, il fatto che questo spirito non è ciò che il mondo può ricevere perché, ci avverte Gesù nel Vangelo, il mondo non dà importanza a ciò che non vede e non conosce, ci ricorda che l’accoglienza dello Spirito Santo esige un cammino di conversione.

Si tratta di convertirsi da quell’atteggiamento “mondano” appunto, per il quale uno vive per sé stesso, come se la sua vita fosse un progetto autonomo, una realtà che alla fine sarà governata dall’intelligenza artificiale perché fatta di scelte basate su dati puramente esteriori, algoritmi quasi infallibili, ma che non considerano Dio e tutto ciò che il mondo non vede e non conosce. Il dramma è che senza accorgersene l’uomo chiuso in sé stesso vive da orfano, come se non avesse un Padre. Possiamo aggrapparci a mille speranze terrene, che però saranno tutte esterne a noi, speranze che dipendono dal mondo e che non appena crollano, inevitabilmente ci lasciano nel vuoto e nel non senso. Anche le speranze mondane più audaci, una volta raggiunte, si esauriscono in sé stesse e conducono, nel migliore dei casi, a cercare stoicamente la morte, il suicidio “per vita completata”, una vita chiusa in sé stessa.

Ora, Cristo è stato messo a morte nel corpo, annuncia Pietro ai credenti, cioè in ciò che lo legava alla nostra dimensione mondana, affinché questo corpo rivivesse nello spirito e quindi diventasse accogliente ad una vita che lo porta oltre la sua sola animalità, il suo psichismo, la sola mondanità. In questo modo, continua San Pietro, Gesù ci ha ricondotti a Dio, cioè ha reso nuovamente possibile quel legame filiale che ci permette di ricevere la vita da Dio. Non solo come un dono temporaneo che si esaurisce nel tempo ma come comunione permanente con Lui. Una comunione tale per cui la nostra vita quotidiana deriva continuamente dalla sua vita divina e quindi fin da ora può considerarsi eterna.

La conversione, in fondo, è un graduale cammino di interiorizzazione della fede che ci porta a vivere nella consapevolezza che non siamo mai soli, in quello che facciamo o viviamo, nemmeno al momento della morte. Non può esserci il rischio di cadere in un intimismo che aliena dalla vita e dai problemi reali di ogni giorno? Contro tale rischio San Pietro fa tre raccomandazioni. Egli dice innanzitutto di essere sempre pronti a dare ragione della speranza che è in noi. Chi vive la comunione vera con Dio non può non cercare la comunione vera con gli altri, generata da una testimonianza offerta non con sicumera o arroganza ma con mitezza e timore. Quindi invita a cercare la consistenza tra quello che uno crede e quello che uno vive in modo che le obiezioni del mondo siano messe a tacere da una retta coscienza che si esprime in “una buona condotta in Cristo”. Finalmente ricorda come la partecipazione intima al mistero Pasquale di Cristo morto e risorto implica che anche noi sappiamo vivere le nostre piccole morti di ogni giorno, affrontando la vita nella sua complessità con un criterio esattamente opposto a quello degli interessi mondani: il bene e’ cosi prezioso che vale la pena saper soffrire per conseguirlo ad ogni costo.