Domenica 6 marzo 2023 – Quaresima II/a

La trasfigurazione parla di un cambiamento. Il cambio è ciò che noi sperimentiamo regolarmente nella vita. Ma in quale direzione? l’evidenza suggerisce che noi cambiamo nella direzione dell’invecchiamento, dell’indebolimento, spesso anche di un peggioramento della nostra personalità. In una parola noi sostanzialmente cambiamo nella direzione della corruttibilità. Il Vangelo della trasfigurazione, allora, oltre a preannunciare il mistero della resurrezione, rivela la possibilità che abiti nel nostro intimo, nascosto proprio dentro la nostra umanità corruttibile, un dinamismo che va nella direzione esattamente opposta che è appunto quella della incorruttibilità. Dio vuole tirare la bellezza proprio dal nostro nulla.

Nella trasfigurazione, ricorda San Paolo, Gesù ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità. Non solo come una meta da raggiungere, ma piuttosto come un seme che siamo chiamati ad accogliere e far crescere, cercando la somiglianza con Cristo che pur essendo uomo come noi, custodiva nel suo intimo questa luce immensa che per un attimo si è fatta visibile sul Tabor. Proprio perché questa luce non è immediatamente visibile è possibile disprezzarla.

Quando Dio ha chiamato Abramo non gli ha detto dove doveva andare. Abramo si è mosso al buio. Poteva lasciar perdere… Quando Dio chiama ciascuno di noi ad ascoltare il Figlio suo, ad andare verso di Lui, non ci mostra un punto di arrivo ma una direzione ed una promessa: seguendo Lui la tua vita comincia a risplendere e il tuo cuore fa esperienza di un cambiamento, di una trasfigurazione che è appunto esperienza di incorruttibilità. Ma per fare questa esperienza bisogna accettare il rischio di mettersi in cammino e in un cammino che è contrario ad una mentalità di corruzione.

Quando Abramo riceve la sua chiamata è già anziano, ha 75 anni. La sua mentalità naturale sarebbe quella di preservare le sue sicurezze e di aggiustarsi ad una vita tranquilla, ad ancorarsi al suo passato. Dio gli dice: lascia la tua terra, lascia la tua casa, lascia la tua famiglia e getta la tua ancora verso il futuro. Tu sarai la mia benedizione a tutti i popoli della terra. Abramo deve ancorarsi ad un futuro illuminato dalla fede in questo Dio la cui generosità è sproporzionata. E Abramo accetta la sfida di mettersi in cammino verso questo futuro poco probabile mettendo la sua vita nelle mani di Dio. Questa speranza che e’ operativa e che e’ capace di trasfigurarti interiormente e’ un antidoto contro un grave pericolo. Quello di sentirsi arrivati perché’ stiamo bene dove siamo – come i discepoli sul monte. Quando ci sentiamo arrivati dovremmo ricordare la parola di Gesù agli apostoli: alzatevi.

Per quanto comoda possa essere la nostra vita da se stessa non può sfuggire alla corruttibilità. La nostra vita è spesso ferita, sprecata, quasi sempre inutile. Abramo non è soltanto anziano ma anche sterile. Ed il fatto che prende con sé suo nipote Lot probabilmente esprime la sua consapevolezza realistica della sua povertà esistenziale. Siamo noi, allora, ad aver bisogno di rimettere la nostra vita nelle mani di Dio, affinché non ci angustiamo della nostra sterilità e non restiamo nel nostro vuoto ma, immeritatamente, possiamo sperimentare la ricchezza della sua benedizione. Il mistero pasquale racchiude in sé tutte le conseguenze di queste generosità divina.

San Paolo dira: Dio ci ha salvati dal nostro niente dandoci una vocazione che non dipende dalle nostre opere ma dal suo progetto, cioè dalla sua iniziativa e dalla sua grazia. È proprio questo il Vangelo della trasfigurazione. C’è una vocazione comune a tutti – da Abramo a tutte le nazioni della terra – ed è la vocazione a credere in una promessa più grande delle nostre opere e vivere ancorati al futuro. L’alternativa e lasciarsi portare dalla zavorra del passato e misurare tutto secondo le nostre possibilità: la mia storia, la mia casa, il mio paese.

Ma c’è anche un altro pericolo nella vita che è bene rappresentato dalla situazione di Paolo. Essendo in prigione Paolo non può andare da nessun’altra parte. Poteva allora lasciarsi tentare dallo scoraggiamento, dalla disperazione, dalla lamentela. Invece trae per sé e per Timoteo una lezione che vale per tutti: soffri insieme a me per il Vangelo con la forza di Dio. Soffrire per il Vangelo con la forza di Dio significa entrare nelle strettezze della vita con la consapevolezza che c’è una forza di Dio in noi che può rendere in ogni caso la nostra vita luminosa e quindi utile al Vangelo, alla testimonianza. Questa forza di Dio che in Gesù sul Tabor si rivela come luce, sulla croce si rivelerà come pazienza, come un saper soffrire per il Vangelo. E che abisso di disperazione sarebbe l’umanità se non ci fosse – anche nelle tragedie più incomprensibili – questa luce nascosta che diventa benedizione per tutti proprio a partire dalla croce. Noi affidiamo la nostra vita a Dio ed ecco che Dio fa trasparire la sua vita gloriosa nella nostra vita corruttibile. Questa vocazione Dio l’ha riservata per tutti fin dalla creazione del mondo ma ora viene rivelata. Questa “ora” è esistenziale. Ad ogni istante puoi decidere di vivere semplicemente la tua vita oppure di affidarla ad un Altro e diventare benedizione per tutti.