Limone 30 novembre 2022 – XXXI /c

Il vangelo di oggi ci presenta la storia di un uomo ricco e potente ma piccolo di statura che, ostacolato dalla folla, cerca comunque di vedere chi fosse Gesù. La voglia di vedere Gesù di Zaccheo porta in sé la domanda di tanti di noi quando ritroviamo nel cuore il desiderio di fare un’esperienza più personale di Dio: ma quando Dio farà questo o quello per me? Quando riuscirò a sentire qualcosa nella preghiera? quando cambierà la mia vita? Questa inquietudine si accompagna spesso ad una percezione dolorosa di anonimato – chi sono io in mezzo ad una folla – e di una qualche inadeguatezza: tutti viviamo situazioni nelle quali non si sentiamo all’altezza.

Zaccheo in effetti è pieno di iniziativa, di desiderio, di sforzo perché studia il percorso, corre avanti, si arrampica sull’albero. Non di meno Gesù lo sorprende quando è Lui a prendere l’iniziativa di invitarsi a casa sua e quando dice che questa sosta per Lui “e’ necessaria”. In tal modo egli mette in luce quell’incontro è più la volontà di Dio che quella di Zaccheo. Sta suggerendo cioè che già il suo desiderio ed il suo forzo erano in realtà un dono della grazia. Si compie in Zaccheo quello che Paolo ricorda ai Tessalonicesi: è Dio che porta a compimento ogni nostra volontà di bene.

È commovente mettersi nella posizione di Zaccheo che si ritrova guardato dal basso e che per la prima volta forse nella vita, nella sua piccolezza, può guardare dall’alto un uomo infintamente più grande di lui che invece di giudicarlo lo guarda con una simpatia umile. Ogni creatura per sé stessa – ricorda il libro della sapienza – è una realtà piccolissima dinanzi a Dio: come polvere sulla bilancia, ininfluente; come goccia di rugiada caduta per terra, non durevole. Eppure, Dio non disprezza nulla. Egli guarda la più piccola delle creature come Gesù guardava Zaccheo, il più piccolo tra la folla, come egli guarda la mia e la tua piccolezza così come noi le percepiamo: “Tu hai compassione di tutti proprio perché Tu puoi tutto! – continua il libro della sapienza – Come potrebbe sussistere una cosa se tu non vuoi? Tu risparmi tutte le cose perché tutte sono tue; poiché il tuo spirito è in tutte le cose.” Vi è una comunione vitale tra noi e Dio che, proprio perché è fondata sull’amore e non sul possesso, ci lascia liberi di rifiutarla e in un certo senso di disprezzarla. Per questo, conclude il libro della Sapienza, quando Dio cerca di riportarci a Lui, anche con il castigo, a partire dal nostro peccato, non lo fa per dominarci ma perché impariamo ad avere fiducia in Lui.

Per questo Gesù alzando lo sguardo verso Zaccheo Gesù non gli offre innanzitutto una “giustizia” ma piuttosto un’amicizia. L’offerta di Gesù è sproporzionata rispetto alle attese di Zaccheo e questo spiega la sua risposta piena di fede, di fiducia incondizionata. Egli “si alza in piedi” quasi risorgesse ad una vita nuova e apre a Gesù non solo la sua casa ma il suo cuore; dichiara innanzitutto il suo pentimento disponendosi a riparare il male che ha fatto, che forse non era così grave perché se uno può restituire il quadruplo di quello che ha rubato vuol dire che non ha rubato tantissimo. Quindi proclama un suo modo nuovo di guardare alla vita. Quando Zaccheo si offre di dare la metà dei suoi beni ai più poveri egli proclama certo una sensibilità nuova verso il bene comune, verso le sorti dei più piccoli e il bisogno di giustizia in questo mondo, ma allo stesso tempo proclama un certo modo di concepire la vita tutta intera. Dare la meta dei beni ai poveri, in effetti, esprima la percezione che la mia vita non è un possesso solitario ma è la comunione con un Altro.

Sentire che la sua vita dipende da questa comunione rappresenta per Zaccheo un cambio radicale. Da semplice esattore egli diventa benefattore, da uno che “prende” tutto quello che si può dalla vita, quasi ne fosse il proprietario, egli diventa uno che la condivide, che la mette a servizio, quale amministratore di una grazia che non gli appartiene e che lo ha ricolmato.  Praticamente Zaccheo vuole vivere – come dice San Paolo -lasciando che il nome di Cristo sia glorificato in lui e cercando la propria gloria in quella di Cristo. Noi accogliamo Cristo nella nostra casa quando concepiamo tutta la nostra vita come uno spazio in cui vivere un’amicizia con Cristo, una familiarità, una comunione con uno di cui possiamo fidarci più di noi stessi: Lui fa risplendere la sua gloria in me ed io cerco la mia gloria in Lui, perché essa è anche la sola vera gloria per cui valga la pena vivere. Finché desideriamo meno di questa amicizia con Lui avremo sempre la percezione di essere insoddisfatti della vita e come la folla del Vangelo ci accontenteremo di mormorare.