III domenica di Pasqua – 4 maggio 2025

L’apocalisse descrive una visione grandiosa che dovrebbe scuotere profondamente il nostro cuore. Tutte le creature nel cielo e nella terra, tutti gli angeli e gli esseri del creato offrono la loro lode, la loro obbedienza e la loro adorazione ad uno seduto sul trono di Dio che non ha le insegne del potere o della gloria ma le sembianze miti ed umili di un agnello. Al centro della creazione, dunque, sul trono di Dio, si manifesta il mistero di una debolezza che diventa salvifica perché capace, proprio come l’agnello pasquale, di riscattare il peccato e la colpa. E a partire da questo amore “debole” che Gesù, invece di rimproverare Pietro gli chiede ripetutamente se sia disposto ad amarlo, nonostante le sue esitazioni e il suo tradimento.

Ed è sempre a partire da questo amore che i discepoli, maltrattati e disprezzati dal sinedrio, non solo non si arrabbiano e non si intimoriscono, ma al contrario gioiscono di poter essere considerati degni di soffrire ed essere disprezzati per conto di Cristo. Solo così, infatti, possono assimilare qualcosa della debolezza di questo amore che vince il male portandone il peso e perdonandolo. Le ultime parole che Gesù rivolge a Pietro al termine del vangelo: “tu seguimi” si estendono, quindi, a ciascuno di noi e ci ricordano che ogni cammino di fede non è che la determinazione, rinnovata ogni mattino, ad imitare l’agnello nel suo amore sacrificale verso il Padre e per l’umanità.

Una imitazione che Gesù profetizza a Pietro quando gli annuncia di quale morte avrebbe dovuto morire. Mentre da giovane andavi dove volevi, gli dice, diventando vecchio imparerai a tendere le mani e a lasciarti condurre dove tu non vuoi. La morte che Pietro, come ogni altro discepolo, deve imparare dall’agnello non è solo quella fisica ma è soprattutto la morte al voler proprio. Questa rinuncia ad una volontà che afferma sé stessa è necessaria per imparare a vivere la vita non come una realizzazione autonoma ma come un servizio di amore a noi affidato. La resurrezione, infatti, introduce nella storia la “cultura del prendersi cura” come alternativa a quegli atteggiamenti individualistici che generano invece la cultura dell’interesse, della sopraffazione oppure semplicemente dello scarto.

Finché Pietro e gli altri vanno a pescare dimentichi della presenza del risorto non concludono nulla. Era molto importante che Pietro e gli altri sperimentassero quanto deludente potesse essere ogni loro iniziativa affidata soltanto alle loro capacità e finalizzata ad un risultato soltanto umano. Quando essi hanno esaurito le loro forze, quando hanno toccato fino in fondo il limite delle loro possibilità, proprio allora possono accettare il rischio della fede e obbedire alla parola di Gesù: gettate le reti e troverete. Per la fede essi trovano il coraggio di fare ancora un tentativo quando erano tentati di dire che non serviva a nulla. Per la fede trovano l’umiltà di seguire la parola di Gesù anche di fronte alla possibilità di esporsi ad un vergognoso fallimento. Proprio allora si aprono i loro occhi ed essi riconoscono la presenza del risorto accanto a loro perché fanno l’esperienza che proprio dalla loro debolezza il signore può trarre ciò che più ha valore: la disponibilità ad amare, a servire, a donare gratuitamente la vita.

L’invito ad unire il pesce da loro pescato a quello che Gesù ha già preparato sottolinea appunto come il frutto finale di ogni loro fatica non è un risultato particolare ma la possibilità che tutto partecipi e contribuisca alla manifestazione dell’amore salvifico dell’agnello nel mondo e nella storia. Ogni eucaristia, come il pasto frugale che il risorto condivide con i discepoli sulla riva del lago, ci ricorda che non dobbiamo cercare in noi stessi la forza di amare e di servire in ogni cosa. Possiamo, invece, ad ogni istante attingere alla sua vita donata, che per mezzo dei sacramenti si rende sempre disponibile. Certo, tutto è così umano nella celebrazione dell’eucarestia e in ogni altra azione sacramentale, da suscitare la domanda nel nostro cuore come nel cuore dei discepoli: chi sei tu? Eppure, allo stesso tempo, per la fede tutto diventa così vero e significativo da far spegnere quella stessa domanda sulle nostre labbra. Nessuno di loro osava chiederglielo.