IV domenica di Pasqua – 11 maggio 2025

Nel Vangelo di questa quarta domenica di Pasqua Gesù annuncia la ragione fondamentale del suo venire presso di noi: io sono il buon pastore che chiama per nome le sue pecore e dona loro la vita eterna. Egli desidera chiamarci per nome e prenderci per mano, cioè, stabilire una relazione personale con ciascuno di noi e farci partecipi della sua vita che, anche mentre egli è nella carne, è già vita eterna perché lui e il Padre sono una sola cosa. Ogni vocazione, acquista il suo significato e la sua connessione con l’amore, proprio a partire da questa chiamata fondamentale a permettere che la nostra vita mortale, attraverso la fede in Gesù, partecipi alla vita eterna che ha la sua sorgente nel Padre. Questo ritorno alla sorgente, naturalmente, si compie pienamente solo dopo la resurrezione dei morti. Nondimeno esso non rimane una vaga speranza per il futuro. La vita eterna, infatti, non è la vita futura ma la vita presente orientata verso un destino che, attraverso la morte, ricongiunge la nostra vita umana alla sua sorgente divina.

Il cammino dell’uomo nella storia era un cammino che si esauriva nella morte e si perdeva nel sepolcro. Attraverso la guida misericordiosa di Cristo buon pastore esso diventa un cammino che non evita la morte ma vi passa attraverso, senza che essa abbia più il potere di strappare la creatura alla vita. Per questo Gesù può dire che nessuno può strappare le sue pecore dalla sua mano e quindi nemmeno dalla mano del padre suo. Perché, egli dice, io e il padre siamo una cosa sola.

La vita di chi ascolta la voce del risorto, allora, da vita morente diventa una vita che torna alla sua sorgente immortale, dalla quale si era distaccata irrimediabilmente con il peccato. Questo non per un merito proprio ma per la forza di colui che conduce coloro che accettano liberamente di seguirlo. Alcuni, come succede ad Antiochia nel racconto degli Atti degli apostoli, scelgono liberamente di rimanere pastori di se stessi e di determinare il corso della storia a partire dai loro ragionamenti e pensieri. Essi si appoggiano a donne influenti della città e ad altri mezzi umani in questo mondo per respingere la predicazione degli apostoli e scacciarli. In questo modo essi “giudicano sé stessi indegni della vita eterna”. Nessuno può strappare chi crede dalla mano del buon pastore ma ognuno liberamente deve decidere di mettere la propria mano nella sua. Liberamente deve decidere ogni giorno di nuovo di ascoltare, di seguire, di rinnovare la sua fiducia in colui che conduce la storia di tutti e le circostanze della vita di ciascuno. Coloro, dunque, che si lasciano attrarre dalla Parola predicata dagli apostoli “sono destinati alla vita eterna”.

L’apocalisse illustra il compimento di questa promessa di vita eterna quando descrive una folla immensa di persone vestite di bianco che stanno davanti al trono di Dio servendolo giorno e notte, liberi dalla sete e dalla calura del giorno, cioè pienamente soddisfatti sia riguardo ai loro bisogni interiori sia riguardo alle circostanze esterne. Il cammino verso questo compimento, naturalmente, si compie nelle circostanze concrete della vita di ogni giorno. Proprio perché storico, questo cammino non esclude la tribolazione, anzi la grande tribolazione, come dice l’apocalisse, cioè tutte quelle cose che potrebbero distogliere dal seguire l’agnello apparentemente debole rispetto ai poteri del mondo.

Non è un caso che prima di essere pastore Gesù si è fatto agnello, cioè, ha sperimentato in sé stesso la nostra condizione di fragilità e di mortalità. Chi lo segue, allora, passa attraverso ogni vicenda umana ed ogni circostanza storica come Gesù l’agnello è passato attraverso il mistero Pasquale. Non scappando dalla sofferenza e dalla morte, ma amando ad ogni costo, anche al costo di quelle cose che ci fanno piangere. La vita eterna è l’esperienza che ogni cosa, anche la più dolorosa, può essere vissuta, non come un’agonia, ma come un travaglio, con la consolante certezza, ricorda l’apocalisse, che ogni lacrima non sarà perduta ma sarà asciugata personalmente da Dio stesso. Alla fine, come Gesù e il padre sono una cosa sola, così anche coloro che per la fede ritrovano la sorgente della vita eterna, diventano una cosa sola con il padre e quindi con Dio. Essi partecipano, cioè, pienamente alla vita di Dio che è vita eterna, non solo perché è senza fine ma anche perché è senza lacrime.