Marcos 7,31-37    XIII anno B
Domenica scorsa Gesù diceva che l’impurità esce dal nostro cuore e che niente esterno all’uomo può renderlo impuro. Ogni persona è sacra per Dio. Inoltre se abbiamo deciso di seguire Gesù, occorre evitare qualsiasi formalismo, ritualismo, apparenza esteriore, ma piuttosto vivere atteggiamenti che non rechino danno ai nostri fratelli. Il male che facciamo a loro ci rende impuri davanti a Dio.
Ma per seguire Gesù occorre anche la fede. E la fede nasce dall’ascolto della Parola. Per questo che la liturgia, oggi ci propone la guarigione di un sordomuto, che Marco l’ha collocata come conclusione del lungo discordo di Gesù sul pane disceso, iniziato con la moltiplicazione dei pani e pesci.
L’evangelista inizia questo episodio con un itinerario inverosimile, sconclusionato, assurdo.
Le indicazioni geografiche indicano che Gesù si trova oltre i confini d’Israele, (Tiro, Sidone, mare di Galilea, Decapoli), in terra pagana.  Per cui il racconto assume un significato di universalità: tutta l’umanità è destinataria del vangelo.
Ma il messaggio d’amore universale di Gesù incontra la resistenza dei suoi discepoli, chiusi nella loro superiorità razziale e discriminazione giudaica.
I discepoli, rappresentati dal sordomuto/balbuziente sono incapaci di accettare il messaggio di Gesù (sordità) e di annunciarlo agli altri (balbuziente).
Per questo che Gesù li cura dalla loro chiusura in se stessi, dalla loro mentalità giudaica, dalla loro incomprensione, dai loro favoritismi e discriminazione, come dice San Giacomo (2° lettura).
San Giacomo ci offre un criterio infallibile per verificare se la nostra fede è autentica oppure se sta in piedi come un francobollo senza colla: si tratta di analizzare il nostro atteggiamento di fronte ai poveri e ai ricchi. Già i primi cristiani facevano preferenze di persone.
Il sordomuto non si avvicina a Gesù di sua iniziativa, ne chiede di essere curato: sono alcune persone che pregano Gesù di guarirlo (chi sono?Non vengono nominati ne Gesù ne i discepoli. Inoltre non c’è nessuna reazione da parte dell’anonimo sordo-muto dopo la sua guarigione). Ma quando gli conducono il sordomuto per imporgli la mano, Gesù lo porta in disparte per guarirlo con dei gesti poco abituali per noi: mette le dita nei suoi orecchi e con la saliva gli tocca la lingua (si pensava che la saliva fosse fiato condensato, immagine dello Spirito Santo).
Poi Gesù, “guardando verso il cielo, emise un sospiro”: in tutto il N. T, è l’unica volta che Gesù sospira a causa della resistenza e opposizione dei suoi discepoli che non comprendono che il Regno di Dio non ha confini, privilegi, non alza muri, ma è destinato a tutti.
e gli disse: Effatà, cioè Apriti!”:  questo comando di Gesù non riguarda soltanto l’udito, ma tutto la persona deve aprirsi. Quindi non è una guarigione fisica di orecchie, ma di comprensione, come diciamo anche noi: “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”.
Nella Bibbia, la sordità, il mutismo e la cecità erano considerate gravi malattie e “castighi” di Dio, perché erano immagini del rifiuto e della resistenza alla Parola del Signore. Guarire da questi malanni significava ricevere la salvezza di Dio.  Quando Dio interviene per salvare il suo popolo, gli apre simbolicamente gli occhi, gli orecchi, la bocca (I lettura), perché possa vedere, ascoltare, parlare e in questo modo entrare in contatto con Dio e con il suo prossimo.
La sordità è una tragedia che non ci consente di udire più nulla, ma soprattutto ci costringe ad ascoltare soltanto noi stessi. Questo handicap non riguarda solo i sordi fisici, ma anche i sordi spirituali.
Il mondo è pieno di gente che ci sente benissimo, ma che ascolta soltanto se stessa. La sordità ci chiude in noi stessi, nelle nostre preoccupazioni, paure, risentimenti, sicurezze… e non ci fa ascoltare il nostro prossimo, i suoi bisogni, preoccupazioni, difficoltà, speranze e in modo particolare la Parola di Dio.
L’uomo sordo e muto del Vangelo rappresenta il nostro cuore chiuso, incapace di ascoltare la Parola di Dio, incapace di cogliere e di accogliere l’amore di Dio che si manifesta ogni giorno e in ogni situazione della nostra vita; incapace di ascoltare la situazione dell’altro. La persona sorda e muta che Gesù guarisce è ciascuno di noi.
Effatà, apriti” è un invito ad ascoltare Dio ed ascoltare il l’altro. Il verbo “ascoltare” è molto usato nell’A.T. (oltre 1.159 volte) ed è riferito spesso a Dio che non è sordo (Is.59,1), ma ascolta sempre il grido del povero, il lamento del suo popolo, ma anche riferito all’uomo: “Shemà. Ascolta Israele…” (Dt.6,4).  È un invito anche per noi ad aprire il nostro udito e la nostra mente alla Parola di Dio per imparare ad ascoltare i nostri fratelli nel bisogno.
In quante famiglie si parla tra sordi e diventano culle di silenzio e di solitudini. Quante difficoltà di comunicazione tra gli sposi, che spesso terminano in divorzio o violenza familiare. Quante tensioni tra genitori e figli che possono essere risolte solo con l’ascolto reciproco. Quante difficoltà di comunicazione tra i parroci e gli agenti pastorali e, a volte, anche con altri sacerdoti suoi collaboratori. Quanti conflitti e guerre tra le nazioni che potrebbero risolversi con la capacità di ascoltarsi e dialogare.
Il primo servizio che dobbiamo rendere ai fratelli è quello dell’ascolto. Chi non sa ascoltare il proprio fratello, presto non saprà neppure ascoltare Dio, sarà sempre lui a parlare, anche con il Signore” (D. Bonhoffer).
C’è bisogno di silenzio per ascoltare. Ma spesso, oggi, il silenzio è stato sostituito con il “tacere” per viltà o opportunismo. Si può stare in silenzio davanti a Dio o davanti a una tragedia o una malattia, ma il cristiano non può “tacere” di fronte all’ingiustizia, alle guerre, alla discriminazione, al sopruso, alla illegalità, alla sofferenza del debole e del povero, specie se è straniero in terra altrui.
Se non siamo capaci di creare e favorire fraternità, solidarietà, accoglienza e ascolto, che tipo di fede stiamo testimoniando agli altri? In quale Dio crediamo e a quale Dio siamo stati creati a sua immagine e somiglianza?
Gesù, alla fine, ordina di non divulgare il fatto, perché per capire la sua missione tra gli uomini, non bastano i miracoli, ma occorre attendere la sua passione e morte in croce. È stato capace di far parlare il sordomuto, ma non è riuscito a far tacere la folla che ha visto compiuta la profezia di Isaia: “Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti”.
La comunità di Marco rimase tanto impressionata da questa guarigione che in seguito gli diede un significato profondo: introdusse quei gesti che Gesù ha usato per sanare il sordomuto nel rito del Battesimo, dove il ministro tocca le orecchie e la bocca del battezzando, per significare che udrà la Parola di Dio e potrà pronunciare la sua lode: “Il Signore Gesù che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola e professare la tua fede per la gloria di Dio Padre”.
Il sordomuto non può ascoltare nessuno e, sebbene balbetta qualcosa, non può esprimersi se non con dei gesti. È incapace di manifestare il suo mondo interiore, i suoi pensieri e le sue emozioni. Nessuno lo comprende perché è chiuso in se stesso.
L’ascolto della Parola ci libera, ci fa comunicativi. Per questo è importante saper ascoltare (non udire) la Parola del Signore nelle nostre celebrazioni, perché ci permette di comunicarci con Dio e tra di noi stessi.
San Agostino diceva: “Io credo in Colui che hanno creduto Pietro, Andrea, Giovanni, Stefano, Paolo…”, noi possiamo aggiungere a questa lista di persone, i nomi di coloro che ci hanno comunicato la fede, il Vangelo. Ma sembra che noi, spesso, stiamo vivendo la stessa esperienza di Zaccaria, dopo l’incontro nel Tempio con l’angelo Gabriele!