Domenica 14 gennaio 2024 – II / b

Il breve racconto del Vangelo mette in luce una verità centrale per comprendere come Gesù entra nella nostra vita: noi cerchiamo in molti modi la comunione. Vi è la comunione della famiglia espressa dal legame tra fratelli, come per Andrea e Pietro, quella di ideali espressa dal seguire uno stesso maestro come per i discepoli di Giovanni e vi è la comunione con tutti gli uomini che soffrono e che si riconoscono peccatori come per le folle al giordano.  Gesù allora si propone come colui che si fa presente all’interno dei mille legami di comunione che caratterizzano la nostra vita, non per distruggerli ma per renderli nuovi e perché essi diventino capaci di corrispondere a quello che il nostro cuore cerca profondamente. In effetti l’imperativo rivolto ai primi discepoli che troviamo nei sinottici: “seguitemi” si comprende pienamente solo come conseguenza della domanda ad essi rivolta nel vangelo di Giovanni: “Cosa cercate?”.

Il nostro cuore, infatti, è fatto per “rispondere”, per relazionarsi, per “appartenere a qualcuno”, per donarsi. Paolo, con un’immagine ardita, invita ad una riflessione: ma non vi accorgete che Cristo ha celebrato un matrimonio con ciascuno di noi? È diventato una sola cosa con noi perché ci ha donato la sua vita. Unendosi alla nostra carne Egli ci permette di diventare un solo spirito con lui, di vedere dove abita, di rimanere con Lui e di imparare poco alla volta a “fargli posto” finché alla fine non sia lui ad abitare in noi, finché tutta la nostra persona non diventi in qualche modo il luogo della sua presenza nel mondo. Il Signore è per il corpo dice San Paolo. Non deve stupire allora che la dimensione più carnale della nostra persona, la sessualità, acquisti una valenza spirituale. Per la semplice ragione che la vita “spirituale” e la dimensione della sessualità sono al servizio della stessa cosa: la comunione. L’adulterio, continua S. Paolo, consumandosi nel corpo in quanto casa dello Spirito e quindi in quanto luogo della comunione tra noi e Dio, è contro la persona perché è contrario alla sua vocazione originaria: quella di essere una creatura amante che genera comunione, che ama fedelmente, liberamente, gratuitamente nello spirito del Risorto. Questa vita risorta si immedesima così bene con la nostra quotidianità che possiamo tornare ad ignorarla ad ogni istante. Non sapete che siete membra di Cristo? Chiede Paolo provocatoriamente.  È possibile che abbiate perso la consapevolezza che rimanete in Cristo e che non vivete più individualmente o, meglio, individualisticamente la vostra vita?

È per questa nostra fragilità di percezione che abbiamo urgente bisogno di un maestro e di un messia. Abbiamo bisogno di uno che sappia insegnare cose vere, cioè durature, e che sappia salvare la nostra vita da tutto ciò che è banalizzazione, egoismo, isolamento, fallimento. Da tutto ciò che pesa sulla vita, che la schiaccia, che la limita e che noi chiamiamo peccato. Forse non vi è una tragedia più grande di quella di chi smette di cercare perché momentaneamente soddisfatto oppure perché deluso e scoraggiato. La risposta a questa ricerca e a questa inquietudine non è la soluzione ad un problema particolare e nemmeno una dottrina astratta, ma propriamente una persona, una presenza, e quindi un incontro o più esattamente una comunione con lui. I discepoli che per primi incontrano Gesù non sanno chi egli sia. Accettano la sfida di andare e vedere, cioè di verificare nell’esperienza se esiste una corrispondenza tra quello che Gesù propone e quello che il nostro cuore cerca veramente. Di verificare nel concreto se la parola di Gesù si adatta alla vita come una chiave giusta può adattarsi ad una porta da aprire; se questa parola salva la vita e in particolare salva il cuore dalla dolorosa sensazione di isolamento e alienazione.

Ma questa verifica del cuore esige appunto i due atteggiamenti fondamentali del discepolato che sono l’ascolto e il rimanere. Il contrario di ciò che caratterizza tante relazioni di oggi: la fretta, la superficialità… e la virtualità. Se consideriamo che, quando i primi due discepoli hanno seguito Gesù erano le 04:00 pm, che la giornata in Israele va dalla sera a quella seguente e che uno dei due discepoli Andrea incontrerà al mattino il fratello Pietro per condurlo da Gesù, possiamo pensare che quei discepoli abbiano cenato, dormito con Gesù e trascorso con lui la giornata successiva. Un po’ come il piccolo Samuele nella prima lettura che dormiva nel tempio di notte, a differenza di Eli che si coricava a casa sua. Ascoltava, dava fiducia al sacerdote Eli che il signore aveva posto sul suo cammino, così come i due discepoli hanno dato fiducia al Battista oppure Pietro a suo fratello che lo chiamava. La loro disponibilità all’ascolto, all’incontro ed alla comunione, al rimanere insieme per cercare e trovare insieme, crea nei loro cuori lo spazio per il riconoscimento di Gesù che passa nella loro vita e che vuole rimanere con loro. Le parole e i fatti che li interpellano dall’esterno sono realtà di uomini ma la grazia che illumina i loro cuori è quella del risorto. Non ve ne accorgete? Chiederebbe ancora oggi San Paolo.