Domenica 19 febbraio 2023 – VII/a

Buono e compassionevole è il signore, recita il Salmo. Egli è lento all’ira e grande nell’amore. Punisce, cioè, molto poco e premia con esagerata generosità. Non ci tratta secondo i nostri peccati, quasi non tenesse conto della nostra malizia, e non ci ripaga secondo le nostre colpe, perché preferisce l’indulgenza al rigore della giustizia. Come dista l’oriente dall’occidente così egli allontana da noi i nostri peccati. Dall’oriente all’occidente non vi è una distanza misurabile ma piuttosto uno spazio potenzialmente infinito. Non c’è immagine migliore per dire che il suo amore è senza misura, cioè totalmente gratuito.

Solo alla luce di questo amore sproporzionatamente gratuito del cuore di Dio che possiamo comprendere il discorso di Gesù nel Vangelo di oggi che raccomanda la massima accondiscendenza verso gli altri. Solo, infatti, la consapevolezza che noi tutti viviamo della misericordia di Dio più che della nostra giustizia, ci rende umili abbastanza per non giudicare gli altri, per non scandalizzarci delle loro ripetute debolezze e per saper apprezzare ogni loro più piccolo sforzo verso il bene. Ma non è solo questo che Gesù si aspetta dai suoi discepoli. Sulla scia del levitico in cui Dio chiede al popolo di essere Santo come lui è Santo, Gesù invita i suoi discepoli a desiderare e cercare una perfezione di amore che appartiene propriamente a Dio: siate perfetti come il Padre vostro che è nei cieli.

Essere perfetti o santi come Dio significa acquisire una nuova natura che introduce una “diversità”, una differenza nel cuore di chi crede. L’alternativa alla santità, infatti, non e’ la normalità ma la mediocrità.

Amare chi ci ama è possibile a tutti anche ai peccatori. Anche un criminale può innamorarsi. Reciprocare un saluto o una gentilezza è possibile a tutti anche ai pagani che non conoscono Dio. Ma per amare con la sovrabbondanza e la misura di generosità descritta da Gesù occorre affidarsi ad un Altro fuori da noi stessi. Voi siete di Cristo, dice Paolo, e Cristo è di Dio. Questa appartenenza ad un altro non limita la nostra libertà che anzi, ricorda Paolo, può ad ogni istante corrompere ciò che Dio costruisce. Questa appartenenza al contrario espande la nostra libertà al punto da renderla capace di superare il suo stesso limite: tutto è vostro.

Le affermazioni di Gesù, come quando ordina di non resistere al male e di amare i nemici, sono evidentemente paradossali rispetto al limite della nostra buona volontà. Esse indicando due estremi dell’amore vasti come la distanza tra l’oriente e l’occidente, vasti come l’amore di Dio e la libertà dello Spirito Santo. È solo credendo a questa infinita libertà dello Spirito Santo, che di fronte alle provocazioni della vita possiamo provare a rinunciare alle nostre “reazioni” ripetitive e scontate, perché dominate dalla nostra impulsività orgogliosa. Una volta che abbiamo provato a non resistere al male possiamo provare ad amare il nemico, cioè ad affrontare l’ostilità con delle risposte che nascono dal cuore, creative e imprevedibili perché sostenute dall’amore dello Spirito Santo che abita in noi.

Quando Gesù suggerisce di porgere l’altra guancia, di consegnare il mantello a chi ti strappa la tunica, di accondiscendere a chi ti tratta in malo modo, di benedire chi ti fa del male non sta incoraggiando la timida sottomissione del debole al più forte. Gesù si rivolge proprio a chi sarebbe forte abbastanza per restituire male con male, o addirittura per tentare di vincere la violenza con una violenza più grande, e lo mette in guardia circa la pretesa di voler combattere nell’altro quel male che di fatto occupa il suo stesso cuore. Prima di rispondere a chi ci fa del male, in altre parole, Gesù vorrebbe che ci assicurassimo di aver vinto in noi stessi quella rabbia, quel giustizialismo, quell’avidità che sta già dominando il cuore dell’altro. E l’unica forza che vince il male che ha conquistato il cuore dell’altro è il bene e non un male più grande ancora che alla fine travolgerebbe noi stessi. Non ti accorgi, domanda San Paolo, che non è la cattiveria dell’altro che può distruggere il tempio di Dio che è in te, la tua interiorità, ma la tua stessa cattiveria che spesso rimane nascosta a te stesso?

Finché allora non arriviamo a considerare ciò che ci fa del male, ci ostacola, ci infastidisce, non come un ostacolo, ma come ciò che appunto, portando alla luce ciò che in noi è incompatibile con la santità ci permette di combattere il male che è in noi, non ci libereremo mai della nostra sensibilità naturale. Essa in effetti può apparire a ciascuno di noi in superficie come “naturale” e quindi legittima. Sottoposta alla luce del Vangelo di oggi, tuttavia essa si rivela per quello che e’: permalosità, vittimismo, irascibilità, rigidità, giudizio, dominazione, attaccamento a sé stessi, malizia, ipocrisia.

Allora si tratta di decidere ogni volta se vogliamo innanzitutto distruggere il male che è in noi oppure il tempio di Dio che è in noi. Quel tempio che lo Spirito di Cristo non si stanca di costruire e ricostruire ogni volta che con fiducia preferiamo la sua santità alla nostra propria mediocrità.