Mc.11,1-10 domenica delle Palme anno B
Con la domenica della Palme iniziamo la settimana santa con la celebrazione della passione, morte e risurrezione del Signore. Tutte le altre celebrazioni dell’anno liturgico hanno come fonte il mistero pasquale. Dal Mercoledì delle ceneri, la Parola del Signore ci ha preso per mano e ci ha accompagnato affinché fossimo pronti a vivere il Santo Triduo. In questa domenica e nei prossimi giorni, la Parola di Dio sarà abbondantemente proclamata in modo tale da tener fissi i nostri occhi su Gesù che accetta anche la morte, pur di salvarci.

Il vangelo ci racconta l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, dopo aver attraversato i villaggi di Betfage e di Betania, il monte degli ulivi, per giungere alla spianata del Tempio (la mattina seguente compirà la purificazione del Tempio).
Tutti gli evangelisti narrano questo episodio e, tranne Giovanni, parlano della cavalcatura che usa Gesù per entrare nella città. Quindi l’asino, oltre a Gesù, è il protagonista di questo episodio. Spesso nominato nell’A.T. è il simbolo dell’animale mite, pacifico, laborioso; non reagisce, non si ribella, porta i pesi degli altri. Non è mai usato come arma di guerra, ma come simbolo di pace. Invece il cavallo simboleggia la forza, l’animale da combattimento. I re d’Israele hanno sempre desiderato e invidiato la cavalleria degli eserciti egiziani (Is.13,1)
Quindi Gesù ordina a due dei suoi discepoli di andare “nel villaggio di fronte (cioè Betfage. Nei vangeli, il “villaggio” è il luogo della tradizione, chiuso alla novità di Gesù, mentre nella città circola più idee, è più aperto), e troverete un puledro, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui”.
C’è un riferimento alla profezia di Zaccaria: “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra” (Zac 9,9-10). Il profeta si dirige alla gente che si era rifugiata nei sobborghi poveri della città, dopo la distruzione di Samaria da parte degli Assiri. Gli ebrei attendevano un re vittorioso della dinastia davidica che avrebbe cambiato la loro situazione di povertà e sofferenza. Si attendeva che arrivasse con cavalli e sconfiggesse i nemici. Ma il profeta annuncia che tale re non userà violenza e forza, non verrà a cavallo, ma su di un asinello.
Il “puledro legato” che trovano i due discepoli nel villaggio deve essere “slegato”, altrimenti la profezia di Zaccaria non potrà realizzarsi, la mentalità del villaggio (sogni di gloria, di potere, di trionfo: è il regno del mondo antico, il regno dei dominatori che sottomettono i deboli, rappresentato dal cavallo) non cambierà affatto. L’asino è il simbolo del servizio, della solidarietà, di chi mette la propria vita a disposizione dei bisognosi.

Quando i due discepoli stanno slegando l’asinello, qualcuno si oppone, come Gesù aveva previsto.
Non è il proprietario dell’asino, ma “alcuni” del villaggio. In ognuno di noi ci sono due forze, due impulsi: quello di aiutare e servire gli altri (“asino”) e quello di dominare, farsi servire, comandare (“cavallo”). Quella parte di “asino” presente in noi, il cui padrone è Dio, va sciolta, slegata. Chi  invece si oppone a slegare l’asino, preferisce pensare a se stesso, a non mettersi al servizio, a dominare gli altri (mentalità chiusa del villaggio). Eppure Dio “ha bisogno” di questa capacità di amare che è dentro di noi.
Conducendo l’asino da Gesù, i discepoli “vi gettarono sopra i loro mantelli”. Nella Bibbia, il mantello rappresenta la persona (cfr. Mc.10,50: cieco Bartimeo). Esprimono così la loro accettazione del Messia pacifico, sanno accogliere la sua proposta, sciogliere “l’asino” in loro. Invece “molti” (che finora avevano accompagnato Gesù) mettevano i propri mantelli lungo il cammino per essere calpestati, manifestando la loro sottomissione, desiderando un Messia dominatore (ricordano l’intronizzazione regale di Jehù: la gente poneva i mantelli sulla strada per accogliere il re d’Israele davanti al suo cavallo, gridando “Jehu è re”: 2Re. 9,13). Sono proprio loro che gridano “Osanna. Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide!”. Non hanno capito il gesto di Gesù e la proposta del nuovo regno di Dio: coltivano ancora i criteri di questo mondo, la mentalità dei vincitori e dominatori (“cavallo”).

Nel cammino, alcuni precedono e altri seguono Gesù, trovandosi nel mezzo. Sembra che non sia Lui a indicare il cammino, ma la folla. Come il tentatore lo aveva condotto nella città santa per proporgli il potere, adesso è la folla che gli propone la strada del dominio, della forza. Ma Gesù non è il figlio di Davide, ma di Dio, che non è venuto a togliere la vita a nessuno, ma a donare la sua. Il suo trono sarà la croce; le sue armi l’amore; il suo regno la pace; il suo trionfo la vittoria sul peccato e sulla morte.
Ecco il motivo per cui, quando la gente si accorge dell’equivoco, di essersi confusa sul “tipo” di Messia, alcuni giorni dopo sostituisce il grido “Osanna al Figlio di Davide” con “Crucifiggilo”.

Con la benedizione dei rami d’olivo, iniziamo la settimana santa. Con questo gesto significativo vogliamo esprimere il nostro desiderio sincero di accogliere Gesù, iniziare con Lui uno stile di vita basato sul servizio, rispetto, perdono, amore, solidarietà, dono di se stessi e non di violenza, prepotenza, potere.
Sarebbe una scelta da “somari” non voler “slegare” l’asino presente in noi….

Autori consultati: Maggi, Armellini, Squizzato, Camacho, Ronchi e altri