Gv. 10,11-18    IV Dom. di Pasqua Anno B
Il popolo di Israele è sempre stato un popolo nomade e di pastori, anche dopo la conquista della Palestina. I primi che visitarono Gesù appena nato furono infatti i pastori. Nella Bibbia, Dio è presentato come il vignaiolo o l’agricoltore (Is.27,3; Sl.65), ma l’immagine più familiare e più accolta è quella del pastore (Sl.80,2; 23; Is.40,11). I patriarchi, Mosè e Davide erano pastori, per cui con il termine “pastore” venivano indicati i capi del popolo di Dio. Diverse profezie annunciavano che il Messia sarebbe stato un vero pastore (Ez.34). Tra i cristiani quella del Buon Pastore è l’immagine più diffusa:  si trova anche nell’arte funeraria antica (catacombe). La liturgia  ha riservato sempre un posto privilegiato nel ciclo pasquale, in quanto Cristo è il buon pastore, perché Gesù conduce i suoi, verso i pascoli della vita, presso il Padre.
Nei vangeli sinottici, Gesù è presentato come il Pastore che va alla ricerca della pecorella perduta o smarrita e, quando la trova, pieno di tenerezza, la mette sulle spalle e la riporta felice all’ovile. (Mt 18,12-14; Lc 15,3-7). Invece Giovanni presenta un Gesù pastore “combattente”, che mette a rischio la propria vita ed è disposto a lottare per difendere le sue pecore contro i lupi (come l’adolescente Davide che scaccia il leone e l’orso per difendere il gregge: 1Sam.17,34-35) che cercano di assediare il gregge riunito di notte in un recinto con un’unica entrata, presso la quale il pastore dormiva per mettere al sicuro le pecore. Per cui la “porta” è il pastore stesso.

Il vangelo di oggi si comprende meglio alla luce di ciò che era accaduto precedentemente (cap.9): Gesù ha dato la vista ad un cieco nato, suscitando un dura polemica da parte dei farisei, i quali credevano di vedere, ma in realtà erano ciechi. Essi vedono le opere che Gesù compie, ma rifiutano di credergli. Il cieco che si avvicina a Gesù perché non si fida della guida dei Farisei, ci ricorda le pecore che non seguono un estraneo perché non riconoscono la sua voce (10,4-5). Il popolo obbediva per paura, ma non ascoltava i dirigenti religiosi, che con il loro comportamento si sono manifestati “ladri e briganti” e non pastori. Essi hanno espulso il cieco nato dalla sinagoga, ma questi non sarà una pecora sbandata, perché ha trovato il “buon pastore”, che lo ha fatto entrare nell’unico ovile attraverso la porta che è Cristo.

Nel cap.10 di Giovanni, troviamo due espressioni importanti pronunciate da Gesù:
Io sono la porta delle pecore” in quanto lui è il passaggio legittimo e obbligato delle pecore per accedere ai pascoli. Sebbene il recinto offra sicurezza e protezione, le pecore che rimanessero in esso, morirebbero. La vita del gregge non è nel recinto, ma nei pascoli dove può nutrirsi. È Gesù che conduce le pecore alla vita, al Padre, fonte di vita.
Io sono il buon pastore”, anzi “il pastore bello (Kalòs)”, cioè quello vero, quello adatto e autentico, il modello. Se Gesù è il pastore vero e buono, significa che ci sono anche quelli falsi e cattivi. Nell’A.T le pecore indicano il popolo d’Israele, mentre i pastori sono i responsabili del popolo sia a livello politico (re, governanti) che religioso (sacerdoti, dottori della Legge). Quest’ultimi erano criticati dai profeti perché non svolgevano il loro servizio per il benessere del popolo, ma si preoccupavano dei propri interessi.
Oggi ci sono pecore che si sono smarrite, perse (grazie al signor Coronavirus) che vanno cercate, ma ci sono  anche quelle che vanno difese dai mercenari, da coloro che ci amano per interesse. Tutti amiamo essere circondati da persone che ci accolgono, ci apprezzano, ci stimano piuttosto da coloro che ci scuotono, ci scomodano. Solo Gesù è capace di amarci ed apprezzarci senza nessun tornaconto.

Gesù ci indica il criterio per riconoscere il pastore vero: è colui che da la vita, che si mette in gioco tutto (qui Gesù sta già prefigurando la sua passione e morte). Invece gli altri pastori non danno ma prendono, commerciano, perché sono semplicemente mercenari stipendiati, che cercano i propri profitti e di fronte al pericolo fuggono.
Il buon pastore, oltre a dare la vita per le pecore, conosce le pecore ed esse conoscono lui. Nella Bibbia il verbo conoscere indica “unione”. Diventiamo un tutt’uno con ciò che conosciamo e amiamo. La stessa unione che esiste tra il Padre e Gesù, è la stessa che avviene tra Gesù e le pecore, cioè sono una sola cosa.
Ma non tutte le pecore ne sono consapevoli: “ho altre pecore che non provengono da questo recinto”. Gesù sta pensando ai non giudei, ai pagani. Lui da la vita anche per loro.
Questo gesto generoso di Gesù nel donare la propria vita è apprezzato dal Padre: “Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre”. Il termine “comando” non indica volontà, dovere, ma rivelazione. Gesù ci ha rivelato un Dio che dona generosamente, dando la propria vita.  Il suo “dare” è incondizionato. Anche da risorto, Gesù continua a donare vita.

Ora sta a noi fidarci di Gesù, riconoscere e ascoltare la sua voce, lasciarci condurre verso pascoli pieni di vita e di orizzonti nuovi. Restare nel recinto, cioè praticare solamente qualche atto religioso, senza metterci in gioco, può indurci a un ritualismo e formalismo che potrebbe asfissiare la nostra fede e non accogliere l’invito pratico di Gesù: “ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv.13,14-15): “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv13,34). Gesù vorrebbe poter intervenire su di noi per tirarci fuori, come ha fatto con il cieco nato, da ogni situazione che rischia di chiuderci in noi stessi, da luoghi infecondi e sterili che non ci aiutano a vedere la sua presenza nella nostra quotidianità, come pure i bisogni degli altri. Gesù è venuto a “rivelarci”, attraverso il dono di se stesso, ciò che è meglio per noi, per dare più senso alla nostra vita e alla nostra fede.
                       

autori consultati: Maggi, Pagano, Matteos, Armellini, Curtaz, Ronchi e altri