Mc.9,2-10 II Quaresima anno B
Continuiamo il nostro cammino di conversione in questo periodo quaresimale. Dal deserto al monte, dalla tentazione alla trasfigurazione, dall’esperienza della possibile caduta all’esperienza di Dio.
Le letture che la liturgia ci propone sono dense e profonde. Analizziamo alcuni aspetti significativi.

I lettura. Abramo è l’origine di una discendenza numerosa come le stelle del cielo e la sabbia del mare. A lui è stata affidata la promessa di vita. Poi Dio gli chiede di sacrificare Isacco, il figlio della promessa. È un racconto crudele e paradossale:  Dio sembra rivolere tutto, anche il bene più prezioso, un Dio che sembra rimangiarsi la sua promessa. Appare come uno di quei “dei” violenti delle antiche culture tribali. Abramo ascolta la voce di Dio, obbedisce senza esitazione, senza farsi tante domande e confida nel Signore, quasi con la certezza che provvederà all’olocausto. Ci insegna cos’è la fede.  Alla fine il lettore scopre un Dio che ferma la mano di Abramo e libera Isacco: è il Dio delle vittime, il Dio che libera gli uomini dalle idolatrie, il Dio accanto a coloro che sono affranti dai mali del mondo. È il Dio della vita, il Dio che provvede.
Avrebbe potuto permettere il sacrificio del figlio della speranza, quel Dio che poi dona all’umanità il proprio Figlio amato?
La richiesta di Dio, apparentemente incomprensibile, fatta ad Abramo, può essere rivolta anche a noi, mettendoci alla “prova” nelle situazioni della nostra vita. Vuole capire se Lui è al primo posto nella nostra vita, se il nostro cuore è libero per Lui o attaccato a qualche cosa o a qualche persona o addirittura ai suoi doni/promesse. Ciascuno di noi conosce i propri “isacchi”, cioè quei doni di Dio che sono indispensabili per la nostra esistenza. Sono doni belli, meravigliosi, grandissimi, ma relativi. Sono doni, sono promesse di Dio, non “dio”, anche se li abbiamo identificati con Dio. Facilmente confondiamo i doni con il Donatore. In questo modo “Isacco” esprime il nostro intento di chiudere Dio nei nostri schemi: Dio è diventato Isacco e Isacco e diventato “dio”. Allora Lui può chiederci di “sacrificarlo”, cioè di fare l’esperienza che il Padre è più grande dei suoi doni, delle sue promesse, più grande di tutto.

Vangelo. Come Mosè, insieme ad Aronne, Nadab e Abiu, salì sul monte dove Dio si rivelò con la sua gloria (Es.24,9ss), anche Gesù sale sul monte insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni, i discepoli più “ribelli”, che facevano fatica ad accogliere il messaggio della croce. Chissà cosa si aspettavano di vedere? Forse dovremmo lasciarci trasportare anche noi da Gesù sul monte per rafforzare la nostra fede, per capire meglio la sua scelta di donazione di se e imparare a fare altrettanto nella nostra vita.
Abbiamo bisogno anche noi di questi momenti di solitudine e di intimità con il Signore, per contemplare nell’umanità di Gesù la manifestazione di Dio Padre: “chi ha vista me, ha visto il Padre” (Gv.14,9)
Marco ci descrive come avvenne la Trasfigurazione: “le sue vesti divennero splendenti, bianchissime”. Anticipano l’identità che il Signore acquisterà definitivamente con la sua resurrezione. È un’immagine contraria al venerdì santo che Gesù dovrà affrontare. Le vesti bianche di Gesù ci ricordano Mosè avvolto nella luce quando parlava con Dio sul monte mentre riceveva le tavole della Legge (cf. Es 34,29-35).
La trasfigurazione è per Gesù un momento importante, in quanto accetta di soffrire e morire, decide di donarsi totalmente per la nostra salvezza, prima di entrare nella gloria di Dio. Il volto sfigurato dalla passione sarà innanzitutto dono di amore donato. Non è il Messia potente, forte, dominatore che Israele e i discepoli attendevano: sarà invece “l’onnipotenza dell’amore”, non per dominare, ma per donare amore senza limiti.
La trasfigurazione di Gesù è l’anticipazione della sua risurrezione. Serve per rafforzare la fede dei discepoli e prepararli a vivere il dramma della croce e confermarli nella certezza della figliolanza di Gesù per mezzo della risurrezione.
Questo i discepoli devono capirlo. Ma non è facile entrare in questa logica.

Pietro propone di costruire tre tende, (allusione alla festa delle Capanne: Es 23,16; Lv 23,27-34; Dt 16,13), mettendo sullo stesso livello Gesù, Mosè (Legge) ed Elia (profeti). Pietro considera Gesù come se fosse uno dei tanti profeti. Costruendo le tende, permette che i tre personaggi continuino a conversare tra loro e così evitare il cammino del Calvario, evitare la croce.
Quante volte anche noi siamo tentati di costruire la nostra “tenda” per installarci pacificamente (qualche preghiera, qualche messa, qualche novena…) per non impegnarci troppo ed evitare di seguire Gesù su di un altro monte: il Golgota.
Pietro viene interrotto da una voce, che esce dalla nube che li avvolge: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo”. Il lettore già l’aveva ascoltata durante il Battesimo di Gesù, mentre i tre discepoli l’ascoltano per la prima volta. La voce non fa altro che designare e nominare Gesù come Figlio. S. Giovanni della Croce: “Dio abita nel silenzio. In questo silenzio dice una sola parola: Figlio. Solo chi abita nel silenzio la ode
D’ora in avanti, ogni comunità cristiana deve ascoltare solo Gesù, il quale non può essere paragonato a nessun altro personaggio dell’A.T. Come Mosè ed Elia non avevano rivolto parola ai discepoli, così ogni credente non dovrà ascoltare altri che non sia Gesù, il grande dono/promessa del Padre agli uomini.
Marco ha collocato questo episodio nel centro del suo Vangelo per farci capire che se sappiamo ascoltare e mettere in pratica ciò che Gesù ha detto e fatto, anche noi sperimentiamo una trasformazione della nostra vita. Una trasformazione, seppure lenta, che ci permette di assomigliare a Dio. Lasciarci illuminare dalla luce che Gesù emana, ci aiuta a scoprire le nostre ombre interiori, ma soprattutto tirar fuori il “bello” dentro di noi.
La trasformazione non richiede nessun esercizio di ascesi, nessuna ricerca di perfezione, ma solo dare tempo all’ascolto del vangelo di Gesù, vivendo la nostra quotidianità.
Ascoltando la Parola, la nostra vita diventa come quella di Dio che è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, libertà, che sono i frutti dello Spirito Santo (Gal.5,22). Ascoltare Gesù ci rende come Lui. È la Parola accolta che ci trasforma in “figli di Dio” (Gv.1,12), “amati” da Lui. San Bernardo: Dio è “un volto senza forma che trasforma”.
Durante questo cammino quaresimale, non recalcitriamo se Gesù ci vuole condurre sul monte Tabor per contemplare il mistero della nostra salvezza e così accompagnarlo fino a Gerusalemme, ai piedi della croce, espressione massima dell’amore di Dio, che non ha risparmiato suo Figlio per noi.

Autori consultati: Costacurta, Maggi, Standear, Squizzato, Drewermann, Armellini, Martini e altri